

vendesi masseria
voglio masserie vive, con gente che lavora duramente sotto il sole, animali veri e non barboncini, storie intense, veraci, produttive e terra che sa di sudore e vita; dove si va a letto presto nel silenzio, senza luci provenienti dal basso studiate da un designer milanese; non queste scenografie vuote, popolate da cafoni salutisti sempre a dieta con suv lucidi, drink fluo, profumi glamour e Borsalini messi male, dove si parla inglese condito da tentativi d’italiano orgogliosamente abortiti, e l’unico raccolto conosciuto è quello dei like.

a Reggio Calabria
Non ogni abuso nasce per offendere.
C'è chi cresce fuori norma come fuori luogo,
ma non per questo senza voce.
Anche un corpo estraneo può chiedere
il suo diritto d’asilo nel paesaggio,
non per cancellare la memoria,
ma per provare a esistere accanto a essa,
in bilico tra errore e necessità,
tra arroganza e sopravvivenza.

Nel silenzio di Oria
Non urlare, non tentar di convincere, non mostrarti.
Cammina in silenzio dove gli altri discutono.
Dove si combatte con parole, rispondi con gesti.
Dove si parla di verità, vivi nella regola.
Non cercare di cambiare il mondo: custodiscilo.
Non inseguire rivoluzioni: coltiva radici.
Stai fuori dal tempo, ma resta presente.
La tua voce non si sentirà. Ma resterà.

la fuga degli ulivi
Gli italiani che vendono ettari e beni storici in Italia farebbero rabbrividire i nostri avi, i quali hanno combattuto faide lunghe e sanguinose per il possesso di un ulivo.......o di un pozzo.

Illuminato dal basso, svuotato dall'alto
L’immagine del Castello Aragonese così come oggi viene proiettata alla notte, illuminato dal basso, violato dalla luce artificiale, spinto all’esterno da una brillantezza estranea alla sua natura, è una visione che, letta in senso tradizionale, non può che risultare inquietante.
La luce, nei simbolismi sapienziali della tradizione, proviene dall’alto: è principio, è trascendenza, è ordine cosmico che discende. Illuminare dal basso significa invertire l’asse gerarchico del reale, trasformare il simbolo in spettacolo, il sacro in decorazione. Se un uomo del quattrocento vedesse oggi questa scena, la considererebbe non solo estranea, ma forse eretica: una fortezza concepita per resistere e proteggere è ora esposta, teatralizzata, spogliata della sua ombra e del suo mistero.
Ciò che era architettura al servizio del tempo e della necessità, oggi è costretto a brillare per i passanti distratti, ridotto a fondale di una narrazione turistica che nulla conserva della sua sacralità storica. Questa luce non rivela, ma traveste. Non onora, ma consuma. È luce orizzontale, mondana, che nega il verticalismo metafisico delle architetture tradizionali.
È l'immagine precisa della modernità profana: dove il simbolo è svuotato, il significato capovolto, e l’essenza delle cose sacrificata all’apparenza.

Il portale
Chiudere un varco con una porta non è solo proteggere: è restituire senso.
Nel cuore di un centro storico come quello di Oria, vedere l aggiunta di un portale ligneo incastonarsi nella soglia in pietra, significa ristabilire un equilibrio. La porta segna un limite, e il limite – in ogni civiltà tradizionale – è misura, identità, distinzione tra ciò che è dentro e ciò che è fuori.
Aggiungere una porta è quindi un gesto semplice ma profondamente ordinatore. Ricorda che non tutto può entrare ovunque, che l’ingresso è un passaggio, non una fusione indistinta. È un segno di rispetto per il luogo, per la sua storia, per il suo centro.
Un piccolo atto di ordine, in un tempo che tende solo ad aprire, dissolvere, confondere.

passaggi
l'ingresso in una chiesa è sempre stata un’esperienza di ascesi. Non immediato, ma ostacolato da barriere simboliche: il grande portone si apriva solo in occasioni solenni, e dietro di esso un disimpegno oscuro, silenzioso, spoglio. La penombra, l’austerità, lo smarrimento iniziale conducevano l’anima a spogliarsi della mondanità, come l’occhio si abitua gradualmente alla luce interiore. Solo dopo questo primo passaggio, si giungeva alla vera soglia: una porta più piccola, più dura, spesso di legno pesante, con maniglie resistenti, simbolo della difficoltà dell’accesso al Mistero.
Oggi tutto questo viene cancellato con l’illusione dell’“inclusività”. Ma ciò che è sacro non può essere “inclusivo” nel senso moderno del termine. Il sacro esige separazione, richiede silenzio, impone una soglia. Senza soglia, senza passaggio, non c’è trasformazione. Il tempio è tale perché chi entra, entra diverso da com’era fuori, e chi esce, porta con sé un’impronta del cielo. Se il tempio diventa accessibile come un bar o una galleria, se i suoi portoni si spalancano per attirare lo sguardo distratto del turista o del passante, allora ciò che viene meno non è solo l’architettura, ma la sua essenza ontologica.
La sacralità è silenzio, mistero, verticalità. Ogni apertura indiscriminata è una profanazione, e ogni gesto che mira a "facilitare" l'accesso rischia di ridurlo a mero attraversamento fisico, svuotato di ogni contenuto simbolico. Quando la chiesa si apre per curiosità e non per bisogno spirituale, quando si varca la soglia senza esserne interiormente pronti, ciò che si consuma è un’ulteriore discesa della realtà nel regno del quantitativo, della distrazione, della desacralizzazione totale.
In nome di una malintesa “pastorale”, si dimentica che l’accesso al sacro non deve essere facilitato. Non sono le chiese ad avvicinarsi al mondo, ma le anime che devono elevarsi. E solo chi cerca, trova davvero.
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